2. ascoltare quello che provano davvero: i bambini nascono "programmati" per sentire le emozioni, ma gli adulti devono aiutarli a riconoscerle. Ad esempio, se nostro figlio è arrabbiato, non diciamogli "sei solo stanco". Cerchiamo piuttosto di capire perché ("con chi sei arrabbiato? che cosa vorresti fargli in questo momento?") Solo così imparerà a non temere le sue emozioni. Infatti, quando prova qualcosa di forte, come la rabbia, il bambino è spaventato. Sta a noi fargli capire che può succedere di essere in collera e che se sfoga questa emozione, per esempio con un disegno, poi starà meglio.
3. dare un nome alle loro emozioni: aiutiamo nostro figlio a trovare le parole per esprimere quello che prova. Questo gli è necessario per imparare a distinguere le sensazioni che lo agitano, senza temerle. Le parole giuste gli fanno capire che siamo in sintonia con lui, così non si sentirà travolto dalle emozioni. Spesso, invece, i genitori si preoccupano quando il figlio, per esempio, è triste. E cercano di consolarlo con un gioco nuovo. Ma è meglio dirgli qualcosa come: "sei un po' giù? Anche a me capita a volte". I momenti "no" fanno parte della vita, non ha senso pretendere che il bambino sia sempre e solo sorridente.
4. fissare poche regole chiare: norme, divieti e castighi sono necessari quando il bambino si comporta male, per esempio facendo capricci se è piccolo o se ha atteggiamenti provocatori se è più grande. Ma per imporre le regole occorre dire dei "no", senza argomentare tutto a ogni costo. Spiegare troppo invia al figlio il messaggio che il genitore è in difficoltà quando si tratta di mettere dei paletti. Ma così il bambino non si sente sicuro.
5. essere disponibili senza essere invadenti: è bene che i figli sappiano di poter contare sulla vicinanza dei genitori. Ma è meglio non anticiparli né sovrapporci a loro. La cosa giusta è seguirli con discrezione, permettendo loro a volte di sbagliare perché imparino, via via, ad essere più autonomi.